Colgo con piacere l’invito che mi è stato rivolto da Roberto Morelli dalle pagine del Piccolo di domenica 27 marzo. L’editoriale chiedeva al M5S di esprimersi sul futuro di Porto Vecchio.

Discutiamo sul come, non sul se: perfettamente d’accordo, ma segnalo che il M5S ha sempre presentato proposte concrete sul recupero dell’area. Nonostante questo, siamo sempre stati tacciati di “immobilismo”. Vorrei poi sottolineare che, secondo la martellante campagna del Piccolo, non essere d’accordo con il PD equivale a voler mantenere lo status quo. Senza nulla togliere all’unico quotidiano della nostra città, è utile ricordare al lettore che non è solo il centrodestra ad aver fallito nella partita del Porto vecchio. Ricordo che Illy è stato sindaco per 10 anni, e per 5 presidente della Regione. Per 5 anni c’è stato un presidente dell’Autorità Portuale espressione del PD (Boniciolli), e questo Presidente è riuscito a produrre il disastro di Portocittà, costato ai cittadini 100.000 euro.

Ancora sul come: è dal 2011 che il M5S di Trieste parla di punto franco non come una scusa per non fare nulla ma come potenzialità per il rilancio economico della città tutta, a cominciare proprio dall’area di Porto vecchio. Fino alla sentenza 400 del 2013 del Tar regionale venivamo derisi non appena citavamo la validità dell’allegato VIII: per fortuna è intervenuto un atto di un tribunale ad avvalorare la nostra tesi, nonchè successivi atti del commissario di governo. A parlare per l’attenzione del M5S Trieste per il punto franco sono poi gli atti depositati in Consiglio comunale negli ultimi 5 anni, a partire dalla richiesta fatta più volte in aula affinché il sindaco chiedesse con forza l’adozione del regolamento attuativo della legge 84/94, un passaggio dimenticato dai partiti da più di 20 anni. Per far funzionare davvero il porto libero di Trieste sarebbe poi necessario un regolamento ad hoc dell’Agenzia delle dogane. Quindi: per il “come” è necessario prima definire chi può fare cosa, soprattutto in relazione alla trasformazione delle merci. Questa definizione deve partire innanzitutto dalle istituzioni, e il Comune di Trieste deve farsi parte attiva nel pretendere che questi punti cruciali siano definiti prima possibile, cosa che con le amministrazioni precedenti non è avvenuta.

Cosa: Bisogna creare le condizioni affinché anche nelle aree di Porto vecchio si sviluppino attività economiche. In questo senso il confermato interesse di Fincantieri per il bacino del Molo 0 dimostra che le nostre (e non solo nostre, giacchè sono patrimonio comune anche di altri movimenti cittadini) idee non sono fantasie. Sul piano urbanistico la situazione è chiara, ed è definita dalla “variante Barduzzi”. Che non parla di porto, ma di portualità allargata. Allora: bene la crocieristica, bene la nautica da diporto con tutti i servizi connessi, bene la cantieristica di alto livello, luoghi di cultura e di ricerca legati al mare, senza però demonizzare, laddove serve, uno strumento straordinario come il punto franco internazionale, così come più volte ha sottolineato il commissario straordinario Zeno D’Agostino.
In tutto questo, sono però i cittadini, attraverso le forze politiche che li rappresentano, che devono decidere cosa fare del Porto vecchio, e non un advisor voluto da Cosolini. Il sondaggio del PD invece è l’esempio lampante della schizofrenia dell’amministrazione attuale: prima dà l’incarico al consulente “per la redazione di linee guida per l’impostazione di un piano strategico per la valorizzazione delle aree facenti parte del Porto Vecchio di Trieste” e poi chiede ai cittadini che cosa vogliono fare del Porto Vecchio? E se i cittadini rispondono qualcosa di diverso rispetto a quanto indicato dall’advisor (per questo retribuito con più di 200.000€)?

Sulla discussa questione della destinazione d’uso residenziale: assolutamente no. Rispetto ad altre città in cui sono stati eseguiti recuperi di zone dismesse, Trieste ha un rapporto incredibilmente sbilanciato rispetto a Porto Vecchio. La decrescita della popolazione residente è evidente nei dati e parlare di una città a misura di 300.000 abitanti quando ad oggi ne totalizza 205.000 è non solo una follia ma anche una previsione che non ha gambe: ci sono già 10.000 appartamenti sfitti e l’area del Porto Vecchio destinata ad uso residenziale ingrandirebbe la città di un settimo dell’esistente. Si rischierebbe quindi di modificare totalmente i pesi urbanistici della città, creando di fatto un nuovo centro urbano e nuove periferie e ingigantendo le problematiche di edifici abbandonati, sfitti, degradati, di cui Trieste non ha certo ulteriore bisogno.

Una parola a parte merita l’impatto del nuovo assetto di Porto Vecchio sui conti della città. La legge che ha avviato l’iter per la sdemanializzazione mette in serio pericolo l’equilibrio del bilancio comunale: il Comune si ritroverà, al termine del procedimento di intavolazione degli immobili, proprietario di beni senza avere le risorse economiche per curarli a dovere: custodia, vigilanza, manutenzione, sicurezza e gestione della viabilità all’interno dell’area costano. Inoltre, secondo la legge, i proventi della possibile (e ripeto: possibile, non certa, almeno in tempi brevi) vendita dei beni sdemanializzati dovranno essere versati interamente all’Autorità portuale. Il Comune non avrà alcuna voce in capitolo sulla destinazione di tali fondi. Anche se la legge prevede che l’Autorità portuale destini questi soldi a investimenti in porto nuovo, non pone alcun vincolo su tempi e modi di utilizzo.

Per questi motivi, il M5S Trieste, sul Porto Vecchio, e non solo, vuole voltare pagina, una volta per sempre.